CRONOLOGIA DI UNA “PASSIONE”

 

Ho creduto che potesse risultare interessante far conoscere, anche se per sommi capi, le vicende che furono alla base  della realizzazione delle pitture della Via Crucis.

A distanza di quasi sessant’anni (oggi ne ho 90), ricordo ancora con discreta esattezza le varie fasi che mi portarono ad affrontare un’opera così impegnativa.

 Avevo 32 anni quando fui presentato da un amico comune, a Don Cesare Virtuoso, il Parroco della parrocchia dei Sacri cuori di Gesù e Maria. Nella doppia veste di parrocchiano e di pittore, ma anche come persona in grado di esprimere un parere, in merito a due bozzetti pittorici già in possesso della parrocchia.

La soluzione pittorica che mi fu sottoposta, non mi convinse affatto, tanto che espressi il mio parere con la solita brutale sincerità che mi contraddistingue da sempre. Ma facendo anche la precisa premessa, che il mio giudizio negativo, non nascondeva la celata ambizione di voler realizzare io quelle pitture.

Anzi, che non mi venisse nemmeno proposto.

 Accadde esattamente il contrario, Don Cesare ben presto si convinse che dovessi essere io il pittore da incaricare.  A giustificazione del mio reiterato netto rifiuto, c’era la mia personale convinzione di non essere in grado di affrontare una impresa pittorica di tale  onerosità.

Nel corso della mia vita professionale di pittore, dopo una prima breve fase da cartellonista cinematografico, avevo affrontato alcuni ritratti, diverse nature morte e paesaggi. Mai una serie di pitture ad olio di quelle dimensioni che dovevano raccontare una storia, che per me fervente cattolico, assumeva un impegno doppio, di pittore e di credente.

 Evidentemente le insistenze di Don Cesare sortirono il loro effetto, perché anche seppur in modo amabile, nonostante le mie ripetute rimostranze, mi impose la committenza.

 La tavole previste erano costruite in tamburato di pioppo e dotate di una cornice di rinforzo in faggio. Misuravano 110 centimetri di lato per uno spessore di 7 centimetri, e un peso che le rendeva assai poco maneggevoli.

Ma ciò che per me costituiva l’impegno maggiore, era il dover affrontare la narrazione degli eventi, che avrebbe dovuto risultare coerente in tutti i suoi aspetti, da quello cromatico e stilistico, a quello iconografico.

Di lì a qualche tempo mi ritrovai a dipingere un bozzetto a tempera di 40 centimetri di lato, di una prima stazione dipinta con molta accuratezza.

Il bozzetto fu esposto a fianco della porta della sagrestia, per una sottoscrizione finalizzata alla raccolta dei fondi.

 Gravato dal peso di una impresa che consideravo più grande di me, cominciai a pensare a come organizzare il lavoro. Sia da un punto di vista pratico che strettamente pittorico.

Concordemente con il Parroco, fu presa la decisione di raccontare attraverso una raffigurazione molto realistica dell’evento sacro ove, i diversi personaggi dovevano essere rappresentati in tutta la loro umanità e scevri da stilizzazioni.

Sviluppai l’idea che le 14 stazioni distribuite lungo le due pareti longitudinali della chiesa, dovessero rappresentare le azioni che si svolgevano intorno alla figura del Cristo, tutte convergenti verso l’altare maggiore. In pratica nelle stazioni di sinistra l’azione doveva essere orientata verso destra, e viceversa nelle stazioni della parete opposta.

Una  idea cui mantenni fede, ma che alcuni anni dopo venne stravolta, a causa dell’installazione dell’organo a canne che implicò lo spostamento di alcune stazioni.

Ciò che considerai fin dall’inizio come condizione irrinunciabile, fu l’idea che ogni stazione dovesse raccontare ciascuna fase dell’evento con estrema essenzialità. Pochi personaggi, paesaggi spogli e, salvo in qualche stazione, privi di elementi architettonici che potessero distogliere l’attenzione da ciò che si svolgeva intorno alla figura di Cristo.

Altro aspetto che volli rendere quanto più essenziale possibile, fu l’abbigliamento.

Anche la figura di Pilato, che appare di profilo nella prima stazione, non veste con la sontuosità di un prefetto romano.

Il problema del reperimento dei modelli fu risolto grazie alla disponibilità di un gruppo di amici, ma anche di mia moglie nella molteplice veste della Madonna e di tutte le altre donne presenti, e di due dei mie figli.

 La preparazione di ogni singola inquadratura, atta a creare le diverse scene di ogni stazione, fu possibile grazie alla collaborazione di un amico fotografo.

Allestimmo così in tempi diversi e in diversi ambienti a seconda delle necessità, delle sale di posa.

Per le toghe furono usati dei lenzuoli, una buona dose di improvvisazione venne sempre in soccorso nei momenti decisivi.

Ciò che arrivò a turbarmi, fu la necessità di dover usare me come modello di Cristo. Avevo l’età di Gesù al momento della crocefissione e il fisico asciutto richiesto; non c’era alternativa.

 La realizzazione pittorica della 14 stazioni, durò poco più di sei anni a causa di difficoltà di vario genere. Il problema più immediato fu il reperimento di un ambiente in cui dipingere. L’appartamento in cui vivevo ero già animato dalla presenza di quattro figli piccoli ai quali nel corso degli anni se ne aggiunsero altri. La loro presenza rendeva impossibile l’uso di un vano domestico come studio. Nel corso degli anni diversi gli ambienti in cui fui ospitato, fra questi alcune stanze parrocchiali e  lo studio del mio amico fotografo.

 Altro problema furono le diverse committenze che si sovrapposero. Soprattutto di ritratti di vari personaggi, compresi papa Pio XII e papa Giovanni XXIII, che mi costrinsero a ripetute interruzioni.

 L’esecuzione dell’intera opera fu terminata nell’anno 1965.

Posso dire con un certo rammarico che a tutt’oggi, eccetto le considerazioni critiche del dottor Cristiano Marchegiani (2009), non ho avuto il piacere di leggere una critica positiva o negativa relativa alla mia opera, di qualsiasi provenienza vuoi ecclesiastica vuoi laica.

 

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